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martedì 17 agosto 2021

LA CORRESPONSABILITA' EDUCATIVA


 

Tra pochi giorni la scuola riaprirà finalmente i battenti. Quali prospettive ci attendono? 

Tra incertezze, dubbi e mille difficoltà ciò che si respira tra le mura istituzionali, per l’intera popolazione scolastica, è certamente la voglia di ricominciare, di riappropriarsi di un importante spazio fisico e mentale di condivisione e collaborazione. Mai come in quest’anno infatti la parola collaborazione è investita di un intenso significato che permette da una parte di qualificare la scuola, nel suo precipuo compito educativo e formativo, e dall’altra di riconoscere agli studenti ed alle loro famiglie la facoltà, nonché il dovere, di contribuire fattivamente, intenzionalmente e responsabilmente alla buona riuscita del percorso di crescita che ciascun istituto promuove per la sua utenza. Collaborare tra scuola e famiglia significa quindi condividere la stessa responsabilità nei confronti di bambini e ragazzi, ciascuno assolvendo ai propri obblighi. Questa imprescindibile necessità è stata già recepita dal Decreto del Presidente della Repubblica n.235 del 21 novembre 2007. Firmato dal Ministro dell’Istruzione Fioroni, il DPR in questione va a modificare il DPR n.249 del 24 giugno 1998 (Berlinguer), riguardante lo statuto delle studentesse e degli studenti della scuola secondaria, introducendo, tra l’altro, un articolo 5-bis che istituisce formalmente il Patto di corresponsabilità educativa. Come precisa lo stesso Ministero,

Il Patto educativo di corresponsabilità è il documento - che deve essere firmato da genitori e studenti contestualmente all'iscrizione nella scuola secondaria di I grado - che enuclea i principi e i comportamenti che scuola, famiglia e alunni condividono e si impegnano a rispettare. Coinvolgendo tutte le componenti, tale documento si presenta dunque come strumento base dell'interazione scuola-famiglia.”

La novità di questi ultimi anni, dettata dal dover fronteggiare la situazione emergenziale, è che questo importante documento, nato per la scuola secondaria, è stato esteso anche agli ordini di scuola inferiori, per comunicare e fare accettare alle famiglie il codice comportamentale da adottare per il contenimento del rischio epidemiologico. Come insegnante di scuola dell’infanzia, ritengo che questa sia stata una grande conquista, che conferisce forma e struttura, e quindi valore istituzionale, al regolamento di ciascuna scuola, di cui le famiglie non saranno soltanto messe a conoscenza, ma che sottoscriveranno, impegnandosi consapevolmente a rispettarlo in ogni suo aspetto. Mi sembra che siano state gettate le basi per una concreta azione sinergica scuola-famiglia e c’è da augurarsi che l’adozione di questa buona pratica, nata facendo di necessità virtù, permanga anche dopo e oltre il COVID 19.

 

     Agata Calise                                                                                                          

lunedì 16 agosto 2021

SAPER STARE AL MONDO, SENTENDOSI PARTE DEL MONDO

 Progetto di Orientamento alla Cittadinanza per i Bambini e le Bambine della Scuola dell’Infanzia

Premessa: per un nuovo Umanesimo 

Nelle Indicazioni Nazionali per il primo ciclo, emanate con Nota 3645 del 1 marzo 2018, diviene sempre più esplicito e ineludibile il riferimento alla formazione in chiave nazionale, europea e mondiale delle future generazioni, di cui la scuola pubblica si fa garante. Tale premura è già presente in nuce nei precedenti documenti ministeriali, a partire dal 2007, che contemplano “un’unica comunità di destino europea così come un’unica comunità di destino planetaria”, per affrontare i problemi che “toccano l’umanità tutta intera” […] “Per educare a questa cittadinanza unitaria e plurale a un tempo, una via privilegiata è proprio la conoscenza e la trasmissione delle nostre tradizioni e memorie nazionali” (2007).

Il progetto educativo così delineato, che permea trasversalmente l’intero sistema di istruzione, risponde alle esigenze di formare cittadini consapevoli e competenti che possano attivamente godere dell’esercizio di una piena cittadinanza (2018).

Nella scuola dell’infanzia, primo segmento modulare del curricolo verticale, la finalità della cittadinanza mira a “porre le fondamenta di un comportamento eticamente orientato, rispettoso degli altri, dell’ambiente e della natura" (2012) e si esplica peculiarmente nel campo di esperienza Il sé e l’altro, che “rappresenta l’ambito elettivo in cui i temi dei diritti e dei doveri, del funzionamento della vita sociale, della cittadinanza e delle istituzioni trovano una prima “palestra” per essere guardati e affrontati concretamente (2012).

Tuttavia, In questa prospettiva che guarda alla competenza in termini di autonomia e responsabilità, l’esercizio della cittadinanza attiva necessita di strumenti culturali e di sicure abilità e competenze di base, cui concorrono tutte (2018) le attività esperienziali riconducibili ai diversi campi curricolari.

La scuola dell’attenzione e dell’intenzione (2012), come le indicazioni del 2012 definiscono la scuola dell’infanzia, è quindi chiamata ad avviare un primo orientamento di alfabetizzazione alla cultura attraverso la piena valorizzazione del territorio di appartenenza, essendo anche e soprattutto la scuola della prossimità e della concretezza concettuale, fondamenta imprescindibili del saper stare al mondo, sentendosi parte del mondo.

 

La fase progettuale: il curricolo verticale

Il progetto si snoderà attraverso il curricolo implicito che, predisponendo l’organizzazione di uscite e visite, permetterà ai bambini la fruizione del territorio circostante nella sua declinazione istituzionale, sociale, culturale, artistica e naturale; e quello esplicito che, predisponendo specifiche attività esperienziali, permetterà ai bambini di attingere al contenuto peculiare di ciascuna spedizione esplorativa all’uopo programmata. 

Avviata a partire dai tre anni di età, l’alfabetizzazione alla cultura mirerà al raggiungimento dei seguenti macro-obiettivi:

3 anni) comincia ad orientarsi riconoscendo i riferimenti topologici che indicano la prossimità dei luoghi frequentati e familiari;

4 anni) matura la consapevolezza dell’esistenza di strutture che caratterizzano un ambiente territoriale e della loro funzione espressa nei termini della loro possibile fruizione da parte dell’utenza;

5 anni) riconosce e denomina ciascun ambiente, luogo e struttura, anche in contesti diversi e lontani dalla propria realtà, cogliendone e descrivendone le caratteristiche specifiche dal punto di vista architettonico, sociale, civico e culturale.

I tre obiettivi fanno riferimento più al livello di sensibilizzazione mostrato dai bambini rispetto all’ambiente in cui si muovono che alla loro età anagrafica. Ecco perché sarà necessario avviare uno screening al fine di valutare come, almeno in prima istanza, si possano formare piccoli sottogruppi anche all’interno di una stessa sezione omogenea per età:

i primi mesi di scuola, solitamente dedicati all’accoglienza, serviranno ad imbastire una routine che preveda, tra le altre attività, 5-10 minuti di interviste a partire dalla semplice constatazione “sei arrivato/a a scuola” e procedendo con le domande “con chi? Come? Cos’hai visto?”. Ovviamente l’insegnante guiderà la conversazione per fare emergere gli elementi significativi di cui è alla ricerca: le risposte dei bambini, infatti, costituiranno gli indicatori del livello di sensibilizzazione e di cognizione sia di partenza che dopo un mese di routine; e costituiranno la documentazione su cui tracciare le competenze acquisite e maturate tra il primo e l’ultimo livello (3/5), quando il progetto di alfabetizzazione verrà di norma avviato nelle scuole, e sarà esteso alle tre fasce d’età dell’utenza scolastica.

Stabilito il livello e i relativi gruppi, si predispone un percorso di esplorazione e conoscenza territoriale distribuito preferibilmente sull’anno scolastico e non concentrato sull’ultimo periodo di frequenza, coincidente con la stagione primaverile (anche i cambiamenti climatici e le caratteristiche stagionali modificano, infatti, il nostro comportamento e le nostre abitudini). Questa prima fase è particolarmente importante perché l’insegnante dovrà orientare la scelta verso gli elementi più significativi del territorio, compatibilmente con i livelli dei bambini e la disponibilità delle famiglie, dei funzionari istituzionali e delle locali associazioni culturali. L’esperienza vissuta dai bambini sarà rielaborata tanto in forma iconografica individuale quanto in forma di conversazione collettiva, per mezzo della quale potrà essere rilanciata l’esperienza, adattandola all’ambiente scolastico (esempio: siamo andati a teatro/cinema e abbiamo assistito alla rappresentazione; per poter accedere abbiamo fatto la fila, pagato il biglietto, individuato il posto a sedere, se numerato, appreso e rispettato alcune regole essenziali- organizziamo, quindi, la visione di un film in classe seguendo le stesse modalità, o una mostra di disegni a cui inviteremo le famiglie; creiamo una rappresentazione plastica tridimensionale dell’ambiente visitato, realizziamo una mappa stradale, ecc.).

Per educare ad una corretta educazione alla cittadinanza consapevole, l’incontro con le istituzioni locali, oltre alla conoscenza fisica delle strutture e alla loro ubicazione topologica, sarà parallelamente incentrato sulla conoscenza della loro funzione all’interno della società.

Per ciascun livello sono previste 2 uscite, per un totale minimo di 6 alla conclusione del percorso progettuale.

Per i bambini di livello 3 anni saranno previste 2 uscite: 1) visita alla piazza centrale (in un paese solitamente coincide con l’ubicazione del municipio e/o del monumento artistico principale); 2) visita alla biblioteca. L’esperienza progettuale annuale si potrà concludere con la realizzazione di un mini libro, illustrato con diverse tecniche manipolativo-pittoriche, che racconti e documenti per immagini la prima fase di orientamento alla cultura.

Per i bambini di livello 4 anni saranno previste 2 uscite: 1) visita alla chiesa, come esempio di stile architettonico, artistico e culturale (la conoscenza di un luogo di culto tradizionale può essere lo spunto per parlare di altri luoghi di preghiera e modi di pregare in cui i bambini si riconoscono più da vicino); 2) visita al teatro/cinema.

Per i bambini di livello 5 anni saranno previste 2 uscite: 1) visita alla stazione (con la possibilità di usare il treno come mezzo di locomozione); 2) visita al parco (con possibilità di pranzare e fare delle attività didattiche all’aria aperta, dal vivo). I bambini potranno realizzare un passaporto europeo della cultura che verrà timbrato dal sindaco (o un pubblico funzionario) del paese/città che riconosca e legittimi la loro curiosità esplorativa e conoscitiva.

 

La chiave sinergica di partecipazione e collaborazione responsabili: il curricolo orizzontale

Si comprende bene come questo progetto coinvolga necessariamente tutti gli agenti territoriali che direttamente e indirettamente si occupano di cultura locale. Sarà quindi imprescindibile un dialogo partecipativo e collaborativo tra le istituzioni che a vario titolo saranno coinvolte nel progetto. Ecco perché si ribadisce l’importanza della fase progettuale, perché l’insegnante dovrà cogliere per tempo le disponibilità esterne alla scuola con cui avviare una collaborazione. Dovrà inoltre improntare un dialogo sempre aperto e basato sulla reciproca fiducia con le famiglie di questi bambini, caratterizzate da una multiculturalità non sempre facile da gestire, cercando di renderle partecipi fin dalla fase iniziale del progetto, ovvero la routine. Confrontarsi con i genitori accompagnatori, infatti, è utile:

  1.  per comprendere se il bambino lavora di memoria o immaginazione, anche verosimile, quando risponde alle nostre domande sul percorso effettuato da casa a scuola;
  2.  per cominciare a coinvolgerli all’interno di uno spazio riflessivo che miri alla definizione del proprio riconoscimento culturale, sia in prima persona che come proiezione di speranze e desideri che riversano sui propri figli;
  3. per programmare un luogo di incontro e di scambio in cui le idee di identità e interculturalità siano veicolate da interrogativi quali “qual è la cultura in cui mi riconosco?” Cosa prevedo o spero per mio/a figlio/a? Come tento di mantenere viva la tradizione culturale di appartenenza? Cosa intendo per integrazione e come cerco di integrarmi nel nuovo contesto?

Sarebbe interessante monitorare la coincidenza o la disattesa delle aspettative che i genitori proiettano sui propri figli, rispetto alle reali scelte di vita future di questi ultimi, attraverso un’intervista incrociata, ma dislocata nel tempo futuro: permetterebbe di far emergere e meglio comprendere quali frustrazioni può comportare una eventuale cocente delusione -sia per i ragazzi che per i loro genitori- e come questa si riversi sulla resistenza ad accettare la nuova realtà, con la conseguente difficoltà a riconoscersi parte di essa. Una realtà, quella ospitante, che spesso viene infatti considerata solo “di transito”, strumentale, finalizzata al raggiungimento di uno status sociale o un modus vivendi più accettabili, ma che finisce inevitabilmente per sconvolgere gli equilibri che le famiglie immigrate (e viceversa le autoctone) tentano faticosamente di mantenere.

L’alfabetizzazione alla cultura della CITTADINANZA, in questi termini, potrebbe avere importanti risvolti poggiando su un confronto di ampio respiro con realtà diverse e parallele, attraverso l’attivazione in rete di un bacino in cui far confluire i progetti e i loro frutti in divenire.

 

 

Il presente documento è stato redatto dal gruppo di lavoro costituito in data 19 febbraio 2018: dott.ssa Agata Calise, dott.ssa Francesca Cardano, dott.ssa Michela De Luca

 

 



giovedì 12 agosto 2021

COME SI PROGRAMMA PER COMPETENZE? Per orientarsi tra obiettivi e traguardi, serve sapere che...


 A partire dal 2007 le scuole di ogni ordine e grado, e la scuola dell'infanzia non fa eccezione, sono state investite da una serie di riforme che hanno avuto l'intento di allineare le proposte educative e didattiche al raggiungimento delle competenze chiave, riconosciute a livello europeo e ritenute imprescindibili per la formazione dell'attuale cittadino del mondo. Tuttavia, nonostante abbiamo imparato ad usare con una certa dimestichezza il termine "competenza", non sempre riusciamo a distinguere la natura degli obiettivi propedeutici al suo raggiungimento, e sulla base dei quali orientare e declinare le nostre attività, rischiando di pregiudicare così l'efficacia della nostra azione formativa. Proviamo a fare un po' di chiarezza.

La definizione di competenza ricomprende le tre aree di declinazione del sapere: la conoscenza (sapere), l’azione (saper agire) e una consapevole intenzionalità e direzionalità cui mira l’azione (saper essere). La complessità della competenza riguarda il suo essere fondata su elementi legati tra loro da un rapporto gerarchico, relazionale e dialettico insieme, che si richiamano cioè l'un l'altro. Prima di giungere alla competenza, infatti, bisogna necessariamente passare attraverso i traguardi di competenza e gli obiettivi formativi e di conoscenza che la competenza in questione sussume.

Questo rapporto è esprimibile con il seguente schema gerarchico discendente:

Competenza:

  1. Traguardi di competenza
  2. Obiettivi formativi
  3. Obiettivi di conoscenza

Schema da tenere in considerazione ogni qual volta ci si accinge a programmare un’attività, partendo dalla competenza che si vuole far sviluppare.

Si comprende quindi che non vi può essere competenza se mancano alcuni di questi elementi essenziali. Tuttavia, non è vero il contrario! L’esperienza dimostra ad esempio che possedere delle conoscenze non implica necessariamente il loro utilizzo in termini formativi. In altre parole, essere in possesso di molte informazioni in un determinato ambito non significa tout court essere competenti in quel settore. L’insegnante dovrà pertanto agevolare questo processo dinamico e non meccanico di costruzione della competenza: dovrà cioè mettere a fuoco non solo la conoscenza che propone, ma anche il modo in cui essa torna utile per affrontare determinate situazioni esperienziali. Il filo di interconnessione tra gli obiettivi di conoscenza e quelli di abilità, che nella loro sintesi producono azione formativa, è dunque la metodologia attraverso la quale si propongono la conoscenza e la sua esperibilità: essa deve permettere  di far cogliere al bambino, per facilitarne l’interiorizzazione, il legame relazionale su cui la diade conoscenza-abilità deve potersi appoggiare, investendo al contempo il momento conoscitivo di forte pregnanza emotiva.

La metodologia classica si fonda sugli obiettivi conoscitivi intesi come i primi tasselli fondamentali. La metodologia della didattica per competenze mette in evidenza come l’azione formativa in essere possa rappresentare il libro interattivo entro il quale familiarizzare con gli obiettivi di conoscenza correlati all’esperienza. 

Per obiettivo di conoscenza intendiamo la conoscenza di uno specifico oggetto al quale attribuiamo un nome e delle qualità informative su come è quell’oggetto. Si tratta del livello descrittivo ancorato alla specifica realtà di cui ci stiamo occupando, e l’unico coinvolgimento attivo del bambino in questa fase è rappresentato tuttalpiù dalla sua esplorazione sensoriale dell’oggetto, incentivata dalla domanda “com’è questo oggetto, me lo descrivi”? La primitiva forma di astrazione contemplata nella conoscenza di questo tipo è legata alla concettualizzazione di oggetto. Ovviamente perché questa astrazione possa aver luogo devo proporre al bambino molti oggetti e con la stessa modalità. Esempio: questo è il sole; il sole è giallo, è caldo, ecc. Questo è il burro; il burro è giallo; ecc. Il bambino ha acquisito la conoscenza di due oggetti, metterli successivamente in relazione è un’abilità, un obiettivo formativo: il burro si scioglie con il calore del sole. Si capisce bene che se miro all’acquisizione della relazione di causa-effetto tra il sole ed il burro (obiettivo formativo) si può esporre il bambino direttamente all’esperienza della trasformazione della materia e lasciare che apprenda cosa sia il sole e cosa sia il burro nell’ambito dell’esperienza stessa, ottimizzando i tempi e favorendo l’interiorizzazione di ciascun elemento conoscitivo, anche in funzione della forte connotazione emotiva di cui il bambino investe l’esperienza permessa. Più esperienze di questo tipo di relazione il bambino compie più è agevolato nell’acquisizione del concetto di causalità che tiene insieme due o più elementi. Si tratta di un livello di astrazione superiore che descrive una relazione che può essere rintracciata in qualunque altra analoga situazione esperienziale. Esempio: il burro si scioglie perché il sole è caldo; Sara piange perché si è fatta male; ecc. Il bambino inizialmente intuisce soltanto la relazione causale, ma esercitare l’abilità rispetto a tale relazione implica una scelta tra varie possibilità. Esempio: se il mio obiettivo formativo è quello di permettere al bambino la discriminazione degli indumenti invernali, posso individuare gli obiettivi di conoscenza e sviluppare poi su questi l’attività formativa. Ovviamente dovrò offrire al bambino i termini entro i quali si gioca la relazione: conosco gli indumenti che chiamo maglione, sciarpa, guanti, ovvero invernali; ma l’aggettivo “invernali” non è implicitamente contenuto nel concetto di indumento e rimanda all’altro termine di relazione che è l’inverno. Sarà necessario quindi esplorare l’inverno e le sue caratteristiche per arrivare a concludere che è una stagione in cui il freddo si fa pungente e ci si copre di più, con abiti che scaldano. Quando avrò offerto tutta la conoscenza necessaria potrò allora verificare la capacità del bambino di compiere una scelta adeguata rispetto alle immagini che gli propongo in una scheda didattica, dove ad esempio gli chiedo di mettere in relazione un ambiente innevato, tipico dell’inverno, con gli indumenti che permettono di ripararsi dal freddo.

Altro esempio. Se io voglio che il bambino acquisisca la conoscenza di termini come antagonista, protagonista, soggetto, predicato e complemento, sarà estremamente difficile proporglieli e cercare di definirli come “oggetti” dalle precise caratteristiche avulse dal contesto del racconto. Ma se durante la lettura di una storia utilizzo questi termini per identificare i personaggi, i loro stati d’animo e le loro attività, allora sarà la stessa storia, nel suo senso narrativo, ad avvicinare il bambino alla loro sempre meno approssimativa comprensione. I bambini saranno cioè naturalmente portati ad acquisirli esattamente come acquisiscono lupo, nonna e cappuccetto rosso: intuiscono che l’antagonista è il cattivo che ostacola il protagonista. Quindi, se successivamente racconto una storia con la presenza di un cattivo e chiedo al bambino secondo te chi è il protagonista e chi l’antagonista il bambino dovrebbe essere in grado di individuarli. Se li individua posso dire di aver verificato un obiettivo formativo, fondato cioè sulla relazione, anche se io li ho proposti come obiettivi di conoscenza, dotati cioè di determinate caratteristiche. Il bambino ha cioè colto le specifiche caratteristiche di ogni elemento presente nella storia all’interno della relazione che li lega insieme. 

Nel tentativo di essere più chiara: nell’obiettivo formativo distinguiamo la costante, cioè la conoscenza descrittiva della relazione tra due o più elementi (in riferimento alla realtà esterna può essere la relazione temporale, spaziale, qualitativa, quantitativa, causale ecc.) e la variabile, cioè la diversa posizione assunta dagli elementi in funzione di questa relazione.

Obiettivo di conoscenza risponde alle domande “chi è/ cos’è”, “come si presenta/com’è” (esprime un valore assoluto, il dato di fatto).

Obiettivo formativo risponde alle domande “quando, dove, come e perché rispetto a…” (esprime un valore relativo, mentre la fase di allenamento per individuare tutte le possibili combinazioni diventa di primaria importanza per interiorizzare la struttura della relazione che stiamo indagando).

Quando il bambino oltre alla conoscenza di elementi avrà conoscenza delle strutture relazionali che li legano potrà “inventare” mille modi diversi per tenerli insieme, a seconda delle proprie necessità: si sarà cioè avviato verso la conquista dei traguardi di competenza. Questi ultimi rappresentano infatti il raggiungimento di mete operativamente significative nella misura in cui proiettano a loro volta verso la meta finale (anche se in costante divenire) della competenza. In essi vi è già una partecipazione attiva, finalistica, anche se non ancora necessariamente consapevole, che muove e mette in campo abilità personali che si sperimentano per la prima volta (ovvero non necessariamente attese). La caratteristica dei traguardi di competenza è quella di offrire e indagare possibilità ancora settoriali rispetto alla generalità della competenza e di farlo in un “ambiente protetto e strutturato”. 

Agata Calise


Bibliografia 

M. Castoldi, Progettare per competenze









mercoledì 11 agosto 2021

LA SCELTA DELLA SCUOLA

 

Dopo i primi giorni di frequenza della scuola dell’infanzia e primaria può capitare che i genitori si accorgano che la scuola che hanno scelto per il proprio figlio non sia rispondente alle loro aspettative, decidendo così di trasferire il bambino in un’altra scuola. Tutto ciò crea disagio a tutti i soggetti coinvolti: ai genitori, agli insegnanti, ma soprattutto ai bambini che si vedono catapultati da un ambiente ad un altro senza comprenderne appieno la motivazione e vedendosi costretti ad interrompere le relazioni instaurate con i compagni e gli insegnanti ed iniziare un nuovo percorso. Per evitare questa spiacevole situazione è quindi di fondamentale importanza che la famiglia decida in modo attento e ragionato quale sia la scuola giusta a cui iscrivere il bambino.

Molte sono le azioni che vengono svolte per l’orientamento scolastico degli alunni negli ordini di scuola superiori (scuole secondarie di primo e secondo grado) e in questo caso il percorso di studi viene scelto in base alle attitudini e agli interessi dello studente che è l’artefice principale della scelta.

Nel caso della scuola dell’infanzia e primaria, la scelta della scuola viene fatta dai genitori in base a criteri che esulano dalle predisposizioni e capacità del bambino che devono ancora essere rivelate e scoperte.

Quali sono le ragioni e le motivazioni che spingono la famiglia a preferire una scuola rispetto ad un’altra?

La decisione può essere presa privilegiando la comodità di accesso alla scuola, ovvero la sua vicinanza all’abitazione o al luogo di lavoro dei genitori o di altri familiari o conoscenti che possono venire delegati ad accompagnare il bambino a scuola. I genitori possono essere orientati nella scelta tenendo conto dell’orario scolastico ovvero della durata del tempo scuola e della possibilità di usufruire di servizi aggiuntivi come il pre-scuola o il post-scuola. Un’altra variabile che viene tenuta in considerazione è quella dei costi che la famiglia deve sostenere e ciò dipendente principalmente dalla tipologia di scuola, se statale o non statale. Nel nostro Paese è consentito a enti e privati di istituire scuole e istituti di educazione, come recita l’art. 33 della Costituzione Italiana, pertanto alle scuole statali si affiancano le scuole non statali, queste ultime ulteriormente diversificate in scuole paritarie, non paritarie e straniere. Mentre nelle scuole statali i costi sono legati essenzialmente al servizio mensa ed al corredo personale, in quelle non statali si aggiungono anche i costi di gestione della scuola. In alcune città e comuni italiani possiamo trovare scuole ad indirizzo didattico differenziato, ovvero scuole in cui viene utilizzato per l’insegnamento un metodo didattico specifico ispirato al pensiero delle pedagogiste che lo hanno ideato, quali il  metodo didattico Montessori, il metodo Agazzi e il metodo Pizzigoni; anche questa peculiarità può far propendere nella scelta di una scuola piuttosto di un’altra. L’ambiente scolastico, ovvero la struttura della scuola, la presenza di spazi adeguati ed accoglienti, sia interni che esterni all’edificio, di arredi confortevoli e provvisti di tutti gli accessori necessari ed idonei viene esaminato con attenzione dai genitori per scegliere e valutare la possibilità di iscrivere il proprio figlio in tale scuola. È anche possibile che la scelta sia influenzata dalla presenza di bambini che già si conoscono o che appartengano a determinate culture oppure dalla conoscenza del personale che lavora all’interno della scuola.

I genitori hanno a disposizione più mezzi per raccogliere le informazioni indispensabili per una scelta consapevole della scuola più adeguata per il proprio figlio. Ritengo che debba essere data la massima importanza all’aspetto educativo e formativo che viene offerto dalla scuola, attraverso la consultazione del P.T.O.F., un documento che ogni triennio gli istituti scolastici predispongono con il Piano dell’Offerta Formativa; documento che viene revisionato annualmente e che contiene tutte le informazioni relative alle varie scuole che ne fanno parte; oltre alle indicazioni di carattere generale ed organizzativo, viene esplicitata la progettazione educativa che viene offerta agli alunni e che contraddistingue il singolo istituto, come previsto dalla normativa relativa all’autonomia scolastica. Ogni scuola inoltre organizza verso la fine dell’anno o durante il mese di gennaio il cosiddetto “Open day”, ovvero una giornata in cui, per alcune ore, l’edificio scolastico è aperto alla visita delle famiglie e durante la quale si organizzano incontri per presentare le attività, i progetti, le peculiarità della scuola, e per rispondere ai quesiti, ai dubbi, alle richieste di chiarimenti che i genitori possono rivolgere ai docenti e al personale scolastico.  È bene utilizzare questi eventi per riuscire ad ottenere tutte le informazioni che si desiderano in modo tale da confrontare le diverse opportunità offerte dalle varie scuole e poter poi procedere consapevolmente all’iscrizione del proprio figlio.

Quello che vorrei qui sottolineare è la rilevanza della scelta della scuola giusta anche nei primi gradi scolastici; tale decisione non deve essere presa in modo affrettato, ma occorre che la famiglia faccia una valutazione ponderata di ciò che ritiene positivo e negativo in una determinata scuola, in base alle proprie aspettative, alla propria scala di valori, ovvero a ciò che più ritiene importante, prioritario rispetto ad altri elementi. Per non incorrere nel rammarico di aver scelto una scuola non rispondente alle proprie aspirazioni e quindi vedersi costretti a trasferire il bambino in un’altra scuola bisogna operare una scelta del tutto personale, basata sulle proprie opinioni, privilegiando i requisiti che si ritengono più importanti e preminenti. Tutto ciò per il benessere psico-fisico del bambino che deve rimanere sempre il fine ultimo dell’azione educativa.

Rosella Orizio

mercoledì 4 agosto 2021

INSERIMENTO A SCUOLA E "STRANGE SITUATION"

Sai riconoscere il tipo di attaccamento che i bambini hanno instaurato con chi si prende cura di loro? Ecco lo studio che te lo svela!

Nella scuola dell’infanzia il periodo dell’inserimento dei nuovi bambini è un ottimo osservatorio per comprendere la situazione relazionale che ciascuno di essi vive rispetto alla figura genitoriale che li accompagna in questo delicato percorso.

La relazione tra adulto e bambino si fonda su due tipici stili di interazione complementari che ancora oggi accomunano l’uomo evoluto alle specie animali.  Se nel bambino si attiva ricorrentemente il sistema di attaccamento, nell’adulto si attiva ricorrentemente il sistema di accudimento. 

Il primo è determinato dal “bisogno di protezione e conforto e ci porta a cercare la vicinanza di un membro autorevole del gruppo […], ovvero è ciò che spinge il bambino a cercare la presenza del genitore o di un adulto ogni volta che avverte un bisogno di qualunque genere.” (Meini, 2008)

Il secondo è determinato dall’inclinazione “a offrire cura a chi, all’interno del gruppo, ne manifesti l’esigenza”. Ecco perché questo sistema “è tipicamente attivato con frequenza massima nel genitore del bambino piccolo” (Meini, 2008)

Tuttavia, nonostante questa unica interconnessione naturale e istintiva, la complementarietà relazionale tra il bambino e l’adulto può assumere diverse configurazioni: in altri termini, ciascun genitore risponde alle richieste del proprio figlio, ma non tutti lo fanno allo stesso modo. A seconda del feedback che riceve dall’adulto, quindi, il bambino adeguerà di conseguenza il suo modo di relazionarsi con lui. È ovviamente un adeguamento spontaneo, di cui il bambino non ha consapevolezza, ma che si esprime inequivocabilmente attraverso una serie di atteggiamenti, divenuti oggetto di un importante studio sperimentale che prende il nome di Strange Situation (Ainsworth et al., 1978).

Di cosa si tratta? È un sistema di verifica del tipo di relazione di attaccamento che il bambino piccolo, tra i 12 e i 18 mesi, intrattiene con la figura di riferimento che lo accudisce. 

Perché allora ne parlo facendo riferimento ai bambini della scuola dell’infanzia, la cui età anagrafica non corrisponde a quella della fascia di controllo dello studio in questione? Perché una relazione di attaccamento “problematica”, se non risolta, tende a consolidarsi e ripresentarsi quindi con le stesse modalità di interazione anche in seguito, in bambini un po’ più grandi.

Come funziona la Strange Situation? “Il bambino viene accompagnato da un adulto che si occupa correntemente di lui […] in una stanza contenente alcuni giocattoli. Entra un estraneo e comincia a giocare col bambino. Il genitore prima osserva l’interazione, quindi esce dalla stanza per rientrarvi dopo circa tre minuti accogliendo con un abbraccio il bambino. La separazione-riunione è ripetuta alcune volte”. Nella scuola dell’infanzia solitamente questa prima fase è più estesa e il ricongiungimento avviene dopo circa un’ora.

“La reazione del bambino alle varie fasi della Strange Situation permette di classificare il tipo di relazione intercorrente con il genitore. […] La griglia interpretativa prevede quattro tipi di attaccamento, di cui tre organizzati e uno disorganizzato”.

1.       “L’attaccamento è detto evitante se il bambino non si oppone alla partenza del genitore e al suo ritorno lo evita, per esempio sottraendosi all’abbraccio o distogliendo lo sguardo”.

2.       L’attaccamento è detto sicuro, “se il bambino protesta al momento della separazione ma si calma appena il genitore rientra, accettando e ricambiando le manifestazioni di affetto”.

3.       L’attaccamento è detto resistente-ambivalente se “il bambino protesta al momento della separazione ma non trova consolazione nemmeno al momento del ritorno del genitore” […].  

4.       L’attaccamento è detto disorganizzato quando “è caratterizzato dall’assenza di una qualsiasi forma coerente e organizzata di comportamento. Per esempio, al momento della riunione il bambino si avvicina al genitore con il volto girato dall’altra parte, oppure si ferma ad osservarlo come in trance, immobilizzato e con lo sguardo perso nel vuoto”.

 Perché è importante avere questo tipo di informazioni? Perché la conoscenza dello stile di attaccamento che il bambino mostra di avere verso il genitore che lo accompagna ci permetterà di trovare delle strategie adeguate a facilitare nel più piccolo il difficile momento del distacco e a guidare l’adulto verso un ricongiungimento positivo con il proprio figlio.

Agata Calise

 

Bibliografia

Cristina Meini, Psicologi per natura, introduzione ai meccanismi cognitivi della psicologia ingenua, Carocci, Roma, 2008